giovedì 29 marzo 2012

D.I.Y.

Salto a piè pari lo spiegarvi cosa è il D.I.Y. copiando ed incollando spudoratamente da wikipedia.

"Il DIY (abbreviazione di Do It Yourself, ossia fallo da te) è un'etica nata e diffusa all'interno della cultura punk, che propugna il rifiuto per le major della distribuzione musicale[1], espresso nello slogan DIY not EMI[1], e la formazione di etichette indipendenti[1] con cui pubblicare i propri album."

Da inguaribile nostalgico dei bei tempi recenti andati ricordo le giornate passate a tentare di metter in piedi una etichetta indipendente che per un certo periodo produsse anche un paio di demo, oggi affermerei fieramente che, il D.I.Y., come un fantasma del passato, riemerge nella rete come filosofia, e non più nell'underground, ma come regola di vita.
Non mi aspetto che tutti capiscano o condividano (come sempre:) quello che scriverò; se da un lato la rete è una grande risorsa il cui potenziale percepibile per ora emerge come la punta di un iceberg, dall'altro ritengo che internet dal "basso" dei suoi 30 anni in cui è ufficialmente conosciuta dall'umanità stia ancora muovendo i suoi primi passi verso la totale comprensione ed accettazione umana.

Considerare la rete come elemento imprescindibile alla vita di tutti i giorni oggi rappresenta ancora un demone da parte di molti. Ma se si pensa a quanto oggi sia importante per i più un telefono cellulare, o ad avere una televisione per famiglia, piuttosto che un'automobile, internet entrerà nelle nostre esistenze come elemento fondamentale prima di quanto pensiamo.

E in tutto questo il concetto del D.I.Y., del fare le cose da sè, avrà un ruolo fondamentale nella rivoluzione digitale e nel condizionamento delle nostre vite.
Certo, non credo che chi negli anni ottanta si autoproduceva una demo in cassetta avrebbe mai pensato di precorrere così tanto i tempi dell'evoluzione del pensiero. Volgendo il mio pensiero ancora una volta alla musica oggi più che mai un gruppo musicale o un cant'autore può costrutire la propria immagine nella rete. I manifesti fotocopiati attaccati sui muri della propria città che una volta annunciavano la data di un concerto oggi sono gli altisonanti eventi di facebook e del fu myspace. Ma se con un po' di lungimiranza si rileggono queste ultime righe, la musica diventa solo un minuscolo tassello in una visione economica molto più grande se in un momento storico come questo ti chiami Italia e sei sotto crisi.

Tutto può essere evento, tutto può avere la credibilità in quello che può essere un libero mercato come internet. E prima che il pensiero di te che stai leggendo queste righe si rivolga verso a quanto triste e falso può essere, mi si permetta di far notare per la seconda volta che i tempi di internet non sono ancora maturi per dare alla rete l'assoluta credibilità e dimensione che questo spazio può (ora) e dovrà (poi) avere.

Wikipedia nasceva "ieri", ma come già detto non rappresenta altro che la radice, il sottobosco , assieme a concetti come quello di reputazione dell' utente gettato dal già più rodato e credibile ebay.
Siamo allora pronti per capire la rete e farne parte? La risposta, come già enunciato dall' inizio di questa postata a malincuore è ancora no, almeno non fino a quando questa troverà il modo per autoregolarsi, diventare uno strumento democratico in cui la credibilità arriverà dal basso, da noi.

E a chi mi da del sognatore, del visionario o semplicemente del folle rispondo: provate oggi voi a modificare una voce di wikipedia, a fare gli tronzi su ebay vendendo blu ray copiati alla gente o semplicemente a bestemmiare su fb. Ci scopriremo tutti più civili di quanto si possa pensare. fortunatamente.

lunedì 26 marzo 2012

Tanto per fare

Negli ultimi anni di scuola mi piaceva tanto quello che facevo. Lavoravo su dei sgangheratissimi 486 in un laboratorio che si diceva fosse l'avanguardia dell' innovazione.
Se penso che le macchine su cui lavoravamo avevano 4 mega di ram, già allora volevo morire. oggi a ripensarci ho il sangue da  naso.

Ma mi piaceva quello che facevo, Mi piaceva talmente tanto che quando c'erano ore di assenza imprevista dai professori, mentre la quasi totalità dei rincoglioniti (ho scritto quasi!) che avevo in classe giocavano a carte o cercavano di capire l'immensità delle loro cavità nasali io sgattaiolavo dalla classe e mi infilavo in quella stanzetta con quei miseri monitor dalle tinte slavate a disegnare. e mi piaceva la maniera in cui quello che facevo mi stupiva; erano anni in cui mi sentivo veramente un pioniere nella grafica.

La parte difficile e dolorosa arrivava nel momento in cui dovevo presentare ai professori dei lavori al di sopra della media (non ero assolutamente il migliore, ma me la cavavo) rispetto a chi dietro al banco ci stava senza aver capito cosa voleva fare da grande. E non si pensi che affermo questo per una mia presunzione; a distanza d'anni oggi solo i migliori stanno lavorando grazie alla dedizione e all'impegno per quello in cui credevano oggi come ieri. E comunque non spiccavo certo per le mie capacità innate. ci lavoravo semplicemente di più degli altri.

Fatto sta che finiva sempre così. Io prendevo un buon voto, e la maggior parte non riusciva a consegnare il lavoro e prendeva voti di merda. Il più delle volte poi essendoci una media bassa il mio voto si abassava di conseguenza. ma lasciamo perdere.

Ma saltiamo ad oggi, sorvolando su quanto fosse sbagliato per i miei compagni di classe che io mi applicassi di più di loro.

Oggi, dopo quasi 20 anni, nulla è cambiato. Forse è peggiorato addirittura. In quasi tutti i posti di lavoro dove sono stato la gente non si rende conto della fortuna di poter fare di una passione un lavoro. E non sto parlando di lavori noiosi e ripetitivi. Sto parlando di creatività cazzo! Mi è veramente capitato di lavorare con grafici che non hanno voglia di fare il loro mestiere.  E quello che non mi piace è che se uno ci tiene davvero alla fine non è giusto che lavori impegnandosi magari più degli altri. Questa cosa mi fa rabbia. e me ne fa tanta, perchè sono convinto ci sia gente che per lo stesso posto di lavoro sputerebbe sangue. E invece no. c'è chi una volta trovato il posto di lavoro se ne frega, fa il minimo sindacale 8 ore. E invece di rendersi conto del ruolo a cui è chiamato  e della grande responsabilità che ha guarda male chi ci crede davvero, creando, migliorando, innovando.

Ecco, forse oltre alle ore in più nell'aula di informatica ci credevo anche più degli altri. e sento che ancora oggi e così....per mia fortuna.
Alla fine di quello si tratta, CREDERCI.

Non ti piace il tuo posto di lavoro? ti ci trovi male? Capi cattivi? Vattene! cambia lavoro! e non mi si venga a dire che c'è la crisi. In questi ultimi mesi ho cambiato due lavori e faccio ancora il grafico. Allora il fatto non è che non credi più nel posto di lavoro, il fatto è che non credi più nel tuo lavoro, ed allora trovati un altro posto, cambia genere, largo ai giovani, più affamati, più preparati. per uscire dal paese dei più raccomandabili ed entrare in quelli dei più bravi L'innovazione ha bisogno di idee nuove; per riuscire  non c'è bisogno di gente che si lascia trasportare dalla corrente inerme, inoffensiva, tanto per fare.


venerdì 23 marzo 2012

le memorie di tutta una vita

La stampa sta morendo. Ad un sacco di persone si gireranno le unghie nell'orrore più totale ma è così. parto da un inizio così provocatorio  pensando a mia moglie, che quando non è dilaniata dal sonno alla sera apre il suo libro sul comodino e legge. Lei adora leggere. Mi dice che lo fa fin da bambina. E leggere è una grande cosa. E penso a lei quando le ho parlato delle alternative al libro, dei vari visualizzatori di testi alternativi alla carta. Mi ritorna in mente la sua riluttanza nell'accettare che presto i libri saranno pezzi da museo.

Ma del resto è inevitabile. e senza sforare in tutto quello che è contenuto artistico e scaricabile noto come ci troviamo di fronte ad un cambiamento di cui non stiamo realizzando ne l'avvenire ne la grandezza.

Già Bezos di Amazon ha dichiarato di voler permettere a tutti di pubblicare il proprio libro, e quello che mi fa immensamente piacere è il vedere che una trasformazione del mercato ed in senso più lato dell'economia mondiale stanno avvenedo con più velocità di quello che staimo credendo.

Cosa ci sarà dopo lo scaricamento di un libro a pagamento? indubbiamente l'abbattimento di costi di produzione, ma guardando oltre la possibilità ad ognuno di noi di crearsi il lavoro in base a quello che è in grado di produrre. e stiamo parlando di musica, testi, consulenze, filmati, servizi arrivando alla fine a beni venduti direttamente. cambieranno i diritti di pubblicazione, concetti che stanno nascendo in questi anni ( creative commons è solo la punta dell' iceberg) costituiranno la naturale evoluzione di chi oggi pensa ancora di poter fare business sulla creatività altrui.

Ed in base a questo i flussi di domanda ed offerta finiranno di passare per le multinazionali che oggi convogliano ed indirizzano il mercato facendo sorgere i bisogni reali e non quelli fittizzi. Se dall'altra parte del mondo qualcuno creerà un carburante ecologico la rete ci permetterà  di poter venire in contatto con chi lo ha pensato facendo correre  la notizia e non tenendola oscurata perchè alla base della divulgazione delle notizie ci sarà un mezzo che non potrà essere veicolato da qualcuno.

I giovamenti che questo comporterà andranno inoltre non solo a beneficio di chi contribuirà a tagliare l'intermediazione del mercato, ma spariranno gli spechi produttivi, poichè la produzione sarà on demand e su ordinazione diretta. Gli ingombri, le librerie, gli scaffali di film e musica in tutti  i suoi formati e appunto i sopraccitati libri spariranno dalla nostra vista per restare sempre con noi, anche a distanza d'anni sarà bello di poter pensare di non aver la nostra canzone preferita di dieci anni prima solo nei ricordi.
Mi affascina pensare che tutto questo non è poi così distante, anche se prima  di abituarci questo forse dovremo abbandonare completamente il bisogno fisico di un supporto. ma infondo anche quella è una questione di tempo che sta inevitabilmente passando :)

mercoledì 14 marzo 2012

Che colpa hanno i videogiochi

Mio figlio ha 4 anni. Quando ne aveva 2 ed appoggiavo il mio iphone sul tavolo, lui lo prendeva e sapeva usarlo per lanciare le apps e giocarci. Ora, premesso che non ne vado fiero come chi mette i video del proprio figlio che gioca con il tablet ad un anno (mai fatto), potrò comunque sembrare forse irresponsabile nell'affermare che, se oggi mio figlio mi chiede di giocare 10 minuti alla sera con la playstation (il che equivale a guardarmi mentre gioco io :P ) Non ci vedo nulla di male.

Ma facciamo un salto indietro. quando mio figlio aveva un anno, un giorno distante da oggi siedevo su di una panchina e lo osservavo mentre giocava attorno alla fontana centrale della piazza principale in città.

All'improvviso, guardando al mio fianco, ho notato un fratellino ed una sorellina (lo avrei capito pochi minuti dopo) giocare con due console portatili uno a fianco all'altro. Poi, all' improvviso, il maschio si alza, va nel vicino negozio  di giocattoli con la mamma trascinandosela dietro di peso, e ne esce con un gioco nuovo di zecca, si siede di nuovo, e non appena se ne rende conto, la sorellina, inizia ad urlare che anche lei vuole il gioco nuovo. La mamma corre a prenderglielo. Poi, rimessi i bambini sulla panchina si mette a parlare con un amica.
Io girandomi di colpo, ho fatto in tempo a salvare da morte certa mio figlio che stava per tuffarsi in fontana :)

beh...non era certa

forse....

Ad ogni modo che, andando oltre a chi pensa che sia decisamente paradossale portare tuo figlio al parco con un videogioco in tasca (cosa su cui non mi soffermo e vado oltre perché condivido in pieno il non farlo) questo avvenimento mi è restato impresso nella mente fino ad oggi, facendomi riflettere su quante volte i videogiochi siano stati visti come la peste del XXI secolo.

E mentre alcuni mi ricordano quanto i giochi elettronici rincoglioniscano,  Il mio pensiero torna a questa sera, quando mio figlio mi ha chiesto se potevamo giocare. E' forse questo che mi fa vedere il reale potenziale che i videogiochi (ed in senso lato della multimedialità) possono avere. Perchè li conosco. Non come la madre che li comprava per tenere buoni e lontano dal fango i figli.

E so che, come tutte le grandi scoperte o le grandi mode che poi cambiano le società, anche i videogiochi, vengono prima contestati e poi accettati.

Ripensando sempre a quel giorno so precisamente cosa non devo fare come genitore.

Devo informarmi dei passatempi che mio figlio sceglie, non devo puntare il dito sui videogiochi pensando che tecnologie morte come la tv abbiano ancora spazio domani nella maniera che mio figlio avrà di divertirsi, comunicare, informarsi ed informare.

Non credo ai videogiochi come alla peste, ne penso che sparirà mai quello che ci faceva divertire ieri; non credo che sparirà mai una bella partita a pallone al parco (o un bagno in fontana?) o la fantasia nell'assemblare insieme dei pezzi di lego, o ancora il disegnare su un foglio bianco, ma quello che credo fermamente è che sta al nostro buon senso insegnare le regole del gioco ai nostri figli, confrontandoci con loro ed evitando di ricadere vittima del giudizio generazionale che pesava su chi nei 70 si è messo i jeans, negli 80 guardava la tv (e i porno inVHS)e nei 90 giocava con la playstation.


Ed insegnandogli le regole del gioco, informandoci a nostra volta molto bene, magari insieme riusciremo ad infrangerle verso il prossimo schema :)